mercoledì 16 novembre 2011

Commento alle letture della Domenica


20 novembre 2011 XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
Colore liturgico: Bianco

Con questa solennità termina l’anno liturgico ed a partire dalla prossima domenica inizieremo il cammino di preparazione alle festività del Natale del Signore con il tempo che la liturgia chiama di Avvento, cioè dell’attesa del Messia. La Chiesa conclude l'anno liturgico raccogliendosi attorno al suo Signore Dopo averne celebrato i misteri della vita, nei quali si compie l'opera della salvezza, ne celebra il trionfo finale, quando tornerà nella gloria a rac­cogliere i frutti della sua redenzione.

A prima vista può sembrare un po’ fuori del tempo parlare di Gesù come re, soprattutto oggi che questa immagine, in particolare per noi occidentali, ha assunto un valore di secondo piano, più legato alla cronaca mondana che ad una vera e propria figura giuridica di esempio e di guida. E’ però significativo che la chiesa abbia voluto chiudere un ciclo, quello dell’anno liturgico, con la figura di Cristo, quasi a voler consegnare tutte le fatiche e le gioie a Lui.

Ma il Re celebrato oggi, è fondamen­talmente Pastore dell’umanità. Nella liturgia di questo giorno, tale immagine è ben più presente dì quella di un re. La prima lettura ci presenta un re che si prende cura delle pecore disperse. Ezechiele descrive, infatti, un pastore pie­no di sollecitudine per il suo popolo, che si preoccupa delle sue pecore, che ve­glia su di loro. Un pastore che guida, che raduna, che va in ricerca della pe­cora smarrita, che cura quella ferita, che rende le forze a quella debole. Il Salmo 22 ci dice che chi scopre e incontra questo Re-pastore, chi si lascia condurre da Lui, non manca di nulla. Anche se dovesse attraversare le valli della morte, il bastone del pastore lo accompagnerà e lo rassicurerà. San Paolo nella sua lettera ai Corinzi ci ricorda come Cristo sia “ la primizia” che riconduce al nulla ogni potestà e potenza. Matteo, pur tentando un abbozzo del giudizio universale, raffigura il pastore seduto sul trono, che separa il suo gregge con dolcezza e tenerezza. La re­galità di questo Pastore si estende e si esercita su tutta l'umanità.

PRIMA LETTURA (Ez 34,11-12.15-17)
Voi siete mio gregge, io giudicherò tra pecora e pecora.

Dal libro del profeta Ezechièle

Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine.
Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.
A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri.
Parola di Dio

Ezechiele fu uno dei profeti maggiori ed è l'autore dell'omonimo Libro.

Ezechiele nacque verso la fine del regno di Giuda, intorno al 620 a.C. Apparteneva ad una famiglia di sacerdoti, ma visse ed operò da profeta. Fu deportato in Babilonia nel 597 a.C. assieme al re Ioiachin e si stabilì nel villaggio di Tel Aviv sul fiume Chebar. Cinque anni più tardi ricevette la chiamata alla missione di profeta. Doveva rincuorare i Giudei in esilio e quelli rimasti a Gerusalemme. Non è conosciuta la data della morte, ma si sa solo che era ancora vivo 22 anni più tardi della chiamata profetica. Inascoltato all'inizio della sua missione, dopo la caduta di Gerusalemme il popolo gli diede ascolto perché aveva compreso la veridicità delle sue profezie. La sua predicazione si concentrò, da quel momento, sulla ricostruzione della Città santa.

Il Libro di Ezechiele è un testo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana. È scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la redazione definitiva del libro è avvenuta in Giudea nel V a.C. È composto da 48 capitoli e il tema specifico del libro è quello dell'invito alla sottomissione a Dio, sempre con il suo popolo anche se questo è in esilio a Babilonia: alla fine Israele sarà vittorioso e Gerusalemme e il tempio saranno ricostruiti.

Il ministero di Ezechiele è segnato da un unico drammatico avvenimento, lasciando il resto degli eventi storici al ruolo di contorno: la profanazione e la distruzione del Tempio nel corso del secondo e definitivo assedio di Gerusalemme ad opera di Nabucodonosor, nel 586 a.C. Tale avvenimento segna la fine del regno di Giuda e uno spartiacque fra due epoche per la storia degli ebrei.

Il testo stesso è diviso in due da questo evento: la prima parte contiene quasi esclusivamente oracoli che minacciano l'inevitabile punizione delle gravi colpe di Giuda, mentre la seconda parte, accaduto l'irreparabile, lascia filtrare bagliori di speranza in un futuro riscatto non troppo lontano, concludendosi con la visione della nuova Gerusalemme e del suo nuovo Tempio.

L'oracolo di Ezechiele sui cattivi pastori dipinge una situazione critica di Israele e del popolo, esule e sbandato dopo la distruzione di Gerusalemme. In questa contesto, Dio annuncia che assumerà personalmente il governo del suo gregge: verrà Lui stesso a realizzare ciò che avrebbero dovuto fare i re dì Israele. Come giudice e liberatore, il Signore radunerà le sue pecore e le farà pascolare, curerà le deboli e le ferite con giustizia, in fedeltà all'alleanza del Sinai.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 22)
Rit: Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare.
Ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca l’anima mia,
mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

La lettura del Salmo ci stimola a non perdere la speranza, poiché per chi abita nella casa del Signore e non si lascia tentare dai falsi profeti o da chi promette cose che non è in grado di dare, non può che avere felicità e grazia come compagne.Il Re d'Israele guida come un pastore il suo popolo: lo conduce dall'esilio su un sicuro cammino e lo fa rivivere in nome dell'amore che nutre per lui. Come un amico, lo invita alla sua tavola per un banchetto sontuoso, in cui si esprime tutta la sua generosa ospitalità.

SECONDA LETTURA (1Cor 15,20-26.28)
Consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.
Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.
È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
Parola di Dio

La Prima lettera ai Corinzi è uno dei testi che compongono il Nuovo Testamento, che la tradizione cristiana e la quasi unanimità degli studiosi attribuisce a Paolo di Tarso. Secondo gli studiosi, fu composta nel 54/55. Era indirizzata alla comunità cristiana della città greca di Corinto.

La Prima lettera ai Corinzi è considerata una delle più importanti dal punto di vista dottrinale; vi si trovano informazioni e decisioni su numerosi problemi cruciali del Cristianesimo primitivo, sia per la sua "vita interna": purezza dei costumi (5,1-13;6,12-20), matrimonio e verginità (7,1-40), svolgimento delle assemblee religiose e celebrazione dell'eucaristia (11-12), uso dei carismi (12,1-14); sia per i rapporti con il mondo pagano: ricorso ai tribunali (6,1-11), carni offerte agli idoli (8-10).

La soluzione di casi di coscienza o regolamenti liturgici, grazie all'intuizione di Paolo, diventa occasione di profonde considerazioni da un punto di vista cristiano, sulla libertà della vita cristiana, la santificazione del corpo, il primato della carità (in particolare in quello che viene chiamato Inno alla carità), l'unione al Cristo.

L'orizzonte escatologico è sempre presente e sottende tutta l'esposizione sulla resurrezione della carne (15). Questo adattamento del Vangelo al mondo nuovo si manifesta soprattutto nell'opposizione, secondo Paolo, tra follia della croce e sapienza ellenica. Agli abitanti di Corinto Paolo scrive che, a suo parere, c'è un solo maestro, il Cristo; un solo messaggio, la salvezza mediante la croce; e che lì si trova la sola e vera sapienza (1,10-4,13).

San Paolo, contrariamente alle volte che prende un tono di rimprovero nei confronti delle sue comunità, qui usa parole di conforto: chi crede in Gesù e si affida a Lui vince anche la morte, cioè la fede nella risurrezione di Cristo fonda la certezza della risurrezione dei credenti. Con la sua risurrezione, dice Paolo, Cristo ha vinto la morte. Ma la vittoria totale e definitiva sulla morte e sul peccato avrà pieno compi­mento mediante la solidarietà dei credenti con Cristo, nuovo Adamo e solo quando tutti i suoi saranno partecipi della risurrezione, allora Cristo avrà compiuto perfettamente la sua opera e Dio sarà tutto in tutti.

VANGELO (Mt 25,31-46)
Siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri.

+ Dal Vangelo secondo Matteo


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.

Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.

Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.

E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Parola del Signore

A conclusione del discorso escatologico Matteo descrive con immagini gran­diose il ritorno del Figlio dell'uomo, re-messia, che conduce i suoi eletti al Regno del Padre. L'immagine fondamentale si rifà al libro di Ezechiele. Il vangelo di Matteo, infatti, ci presenta un re glorioso che giudica (come ci aveva ricordato Ezechiele dicendo: “io giudicherò tra pecora e pecora, fra montoni e capre”). In questo passo bisogna comprendere bene il criterio di giudizio: ciò che è fatto a una persona è fatto al Signore, che si identifica con i più piccoli, suoi fratelli. In tutta la vita Gesù si è schierato dalla parte degli umili, e nella gloria del Pa­dre non cessa di farlo. Due sono le cose che colpiscono in modo particolare: il metro di giudizio è l’Amore verso il prossimo e la gratuità. Gesù infatti non chiede quante preghiere sono state fatte, quanti corsi di teologia, quanti incontri in parrocchia, ma chiama “benedetti del Padre mio” coloro che hanno servito i bisognosi senza chiedersi il perché. Sono invece “maledetti” coloro che non hanno saputo riconoscere nelle esigenze del prossimo Gesù, cioè le esigenze evangeliche. Cristo non ha mai rinnegato la sua dignità divina, né ha mai rinunciato al rispetto che essa meritava (26,64) ma vi ha associati gli umili. È Re nello stile della regalità divina, di quel Dio che è Amore. La grandiosa scena impedisce al cristiano di fantasticare sul giorno del giudizio, lo obbliga a verificare la sua vita terrena nella prospettiva dell'incontro con Cristo, che si presenta nella storia attraverso i piccoli e i poveri. Perché il suo giudizio non terrà tanto conto delle opere eccezionali, ma dei gesti quotidia­ni di misericordia che testimoniano, appunto, l'Amore per Dio e per i fratelli. Eppure, questa pagina del Vangelo di San Matteo è inscindibile dal resto del suo Vangelo e del Vangelo intero. In Matteo troviamo molti “discorsi” che si riferiscono al giudizio finale. Colui che non si limita a fare la volontà di Dio attraverso le parole non sarà condannato (Mt 7,21-27). Colui che non perdona non sarà perdonato (Mt 6,12-15; 1-35). Il Signore riconoscerà davanti a suo Padre nei cieli colui che si è dichiarato per lui davanti agli uomini (Mt 10,31-33). La via della salvezza è la porta stretta (Mt 7,13). Per seguire Cristo bisogna portare la propria croce e rinnegare se stessi. Colui che vuole salvare la propria vita la perderà (Mt 16,24-26). San Marco ci dice anche: Colui che crederà e sarà battezzato, sarà salvato. Colui che non crederà sarà condannato (Mc 16,15-16). Queste parole ci avvertono di non escludere dal resoconto finale la nostra risposta ai doni soprannaturali e alla rivelazione. Guarire le piaghe del mondo, eliminare le miserie e le ingiustizie, tutto questo fa parte integrante della nostra vita cristiana, ma noi rendiamo un servizio all’umanità nella misura in cui, seguendo il Cristo, liberiamo noi stessi e liberiamo gli altri dalla schiavitù del peccato. Allora solamente il suo regno comincerà a diventare realtà. Ecco allora il messaggio che possiamo trarre per noi dalle letture di oggi: come Gesù si è fatto “buon pastore” nel cercare, curare, proteggere noi, povere pecorelle disperse nel mare delle vicende quotidiane, anche noi siamo chiamati ad essere vigilanti ed attenti verso noi stessi ed i nostri fratelli, perché questo è lo specifico del cristiano.