martedì 3 aprile 2012

IL TRIDUO PASQUALE SPIEGATO DA S.S. PAPA BENEDETTO XVI°

Cari fratelli e sorelle,

mentre si va concludendo l’itinerario quaresimale, iniziato con il Mercoledì delle Ceneri, l’odierna liturgia del Mercoledì Santo ci introduce già nel clima drammatico dei prossimi giorni, permeati dal ricordo della passione e della morte di Cristo. Nell’odierna liturgia, infatti, l’evangelista Matteo ripropone alla nostra meditazione il breve dialogo che avvenne nel Cenacolo tra Gesù e Giuda. “Rabbi, sono forse io?”, domanda il traditore al divino Maestro, che aveva preannunciato: “In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà”. Lapidaria la risposta del Signore: “Tu l’hai detto” (cfr Mt 26,14-25). Da parte sua san Giovanni chiude il racconto dell’annunzio del tradimento di Giuda con poche significative parole: “Ed era notte” (Gv 13,30). Quando il traditore abbandona il Cenacolo, s’infittisce il buio nel suo cuore – è notte interiore –, cresce lo smarrimento nell’animo degli altri discepoli – anche loro vanno verso la notte –, mentre tenebre di abbandono e di odio si addensano sul Figlio dell’Uomo che si avvia a consumare il suo sacrificio sulla croce. Quel che commemoreremo nei prossimi giorni è lo scontro supremo tra la Luce e le Tenebre, tra la Vita e la Morte. Dobbiamo situarci anche noi in questo contesto, consapevoli della nostra “notte”, delle nostre colpe e delle nostre responsabilità, se vogliamo rivivere con profitto spirituale il Mistero pasquale, se vogliamo arrivare alla luce del cuore mediante questo Mistero, che costituisce il fulcro centrale della nostra fede.


Inizio del Triduo Pasquale è il Giovedì Santo
. Durante la Messa Crismale, che può essere considerata come il preludio al Triduo Santo, il Pastore diocesano ed i suoi più stretti collaboratori, i presbiteri, attorniati dal Popolo di Dio, rinnovano le promesse formulate il giorno dell’Ordinazione sacerdotale. Si tratta, anno dopo anno, di un momento di forte comunione ecclesiale, che pone in rilievo il dono del sacerdozio ministeriale lasciato da Cristo alla sua Chiesa, la vigilia della sua morte in croce. E per ogni sacerdote è un momento commovente in questa vigilia della Passione, nella quale il Signore ci ha dato sè stesso, ci ha dato il sacramento dell’Eucaristia, ci ha dato il Sacerdozio. E’ un giorno che tocca tutti i nostri cuori. Vengono poi benedetti gli Olii per la celebrazione dei Sacramenti: l’Olio dei Catecumeni, l’Olio degli Infermi e il Sacro Crisma. Alla sera, entrando nel Triduo pasquale, la Comunità cristiana rivive nella Messa in Cena Domini quanto avvenne durante l’Ultima Cena. Nel Cenacolo il Redentore volle anticipare, nel Sacramento del pane e del vino mutati nel suo Corpo e nel suo Sangue, il sacrificio della sua vita: egli anticipa questa sua morte, dona liberamente la sua vita, offre il dono definitivo di sé all’umanità.

Con la lavanda dei piedi, si ripete il gesto con cui Egli, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine (cfr Gv 13,1) e lasciò ai discepoli come loro distintivo questo atto di umiltà, l’amore sino alla morte. Dopo la Messa in Cena Domini, la liturgia invita i fedeli a sostare in adorazione del Santissimo Sacramento, rivivendo l’agonia di Gesù nel Getsemani. E vediamo come i discepoli hanno dormito, lasciando solo il Signore. Anche oggi spesso dormiamo, noi suoi discepoli. In questa notte sacra del Getzemani vogliamo essere vigilanti, non vogliamo lasciar solo il Signore in questa ora; così possiamo meglio comprendere il mistero del Giovedì Santo, che ingloba il triplice sommo dono del Sacerdozio ministeriale, dell’Eucaristia e del Comandamento nuovo dell’amore (agape).

Il Venerdì Santo, che commemora gli eventi che vanno dalla condanna a morte alla crocifissione di Cristo, è una giornata di penitenza, di digiuno e di preghiera, di partecipazione alla Passione del Signore. All’ora stabilita, l’Assemblea cristiana ripercorre, con l’aiuto della Parola di Dio e dei gesti liturgici, la storia dell’umana infedeltà al disegno divino, che tuttavia proprio così si realizza, e riascolta il racconto commovente della Passione dolorosa del Signore. Rivolge poi al Padre celeste una lunga “preghiera dei fedeli”, che abbraccia tutte le necessità della Chiesa e del mondo.

La Comunità adora quindi la Croce e si accosta all’Eucaristia, consumando le sacre specie conservate dalla Messa in Cena Domini del giorno precedente. Commentando il Venerdì Santo, san Giovanni Crisostomo osserva: “Prima la croce significava disprezzo, ma oggi essa è cosa venerabile, prima era simbolo di condanna, oggi è speranza di salvezza. E’ diventata davvero sorgente d’infiniti beni; ci ha liberati dall’errore, ha diradato le nostre tenebre, ci ha riconciliati con Dio, da nemici di Dio ci ha fatti suoi familiari, da stranieri ci ha fatto suoi vicini: questa croce è la distruzione dell’inimicizia, la sorgente della pace, lo scrigno del nostro tesoro” (De cruce et latrone I,1,4). Per rivivere in modo più partecipato la Passione del Redentore, la tradizione cristiana ha dato vita a molteplici manifestazioni di pietà popolare, fra le quali le note processioni del Venerdì Santo con i suggestivi riti che si ripetono ogni anno. Ma c’è un pio esercizio, quello della “Via Crucis”, che ci offre durante tutto l’anno la possibilità di imprimere sempre più profondamente nel nostro animo il mistero della Croce, di andare con Cristo su questa via e così conformarci interiormente a Lui. Potremo dire che la Via Crucis ci educa, per usare un’espressione di san Leone Magno, a “guardare con gli occhi del cuore Gesù crocifisso, in modo da riconoscere nella sua carne la nostra propria carne” (Disc. 15 sulla passione del Signore). E sta proprio qui la vera saggezza del cristiano, che vogliamo imparare seguendo la Via crucis proprio il Venerdì Santo al Colosseo.

Il Sabato Santo è giorno in cui la liturgia tace, il giorno del grande silenzio, ed i cristiani sono invitati a custodire un interiore raccoglimento, spesso difficile da coltivare in questo nostro tempo, per meglio prepararsi alla Veglia pasquale. In molte comunità vengono organizzati ritiri spirituali e incontri di preghiera mariana, quasi per unirsi alla Madre del Redentore, che attende con trepidante fiducia la risurrezione del Figlio crocifisso. Finalmente nella Veglia pasquale il velo di mestizia, che avvolge la Chiesa per la morte e la sepoltura del Signore, verrà infranto dal grido della vittoria: Cristo è risorto ed ha sconfitto per sempre la morte! Potremo allora veramente comprendere il mistero della Croce, “come Dio crei prodigi anche nell’impossibile – scrive un autore antico – affinché si sappia che egli solo può fare ciò che vuole. Dalla sua morte la nostra vita, dalle sue piaghe la nostra guarigione, dalla sua caduta la nostra risurrezione, dalla sua discesa la nostra risalita” (Anonimo Quartodecimano). Animati da fede più salda, nel cuore della Veglia pasquale accoglieremo i neo-battezzati e rinnoveremo le promesse del nostro Battesimo. Sperimenteremo così che la Chiesa è sempre viva, si ringiovanisce sempre, è sempre bella e santa, perché poggia su Cristo che, risorto, non muore più.

Cari fratelli e sorelle, il Mistero pasquale, che il Triduo Santo ci farà rivivere, non è solo ricordo di una realtà passata, è realtà attuale: Cristo anche oggi vince con il suo amore il peccato e la morte. Il Male, in tutte le sue forme, non ha l’ultima parola. Il trionfo finale è di Cristo, della verità e dell’amore! Se con Lui siamo disposti a soffrire ed a morire, ci ricorderà san Paolo nella Veglia pasquale, la sua vita diventa la nostra vita (cfr Rm 6,9). Su questa certezza riposa e si costruisce la nostra esistenza cristiana. Invocando l’intercessione di Maria Santissima, che ha seguito Gesù sulla via della Passione e della Croce e lo ha abbracciato dopo la sua deposizione, auguro a tutti voi di partecipare devotamente al Triduo Pasquale per gustare la gioia della Pasqua insieme con tutti i vostri cari. Papa Benedetto XVI°

GIOVEDI SANTO (MESSA IN CENA DOMINI) Colore liturgico: Bianco

Gesù trascorre le ultime ore della sua vita terrena in compagnia dei suoi discepoli. Il Maestro manifesta un amore straordinario per gli apostoli, impartendo loro insegnamenti e raccomandazioni. Durante l’ultima Cena, Gesù ha mostrato – con le sue parole – l’amore infinito che aveva per i suoi discepoli e gli ha dato validità eterna istituendo l’Eucaristia, facendo dono di sé: egli ha offerto il suo Corpo e il suo Sangue sotto forma di pane e di vino perché diventassero cibo spirituale per noi e santificassero il nostro corpo e la nostra anima. Egli ha espresso il suo amore nel dolore che provava quando ha annunciato a Giuda Iscariota il suo tradimento ormai prossimo e agli apostoli la loro debolezza. Egli ha fatto percepire il suo amore lavando i piedi agli apostoli e permettendo al suo discepolo prediletto, Giovanni, di appoggiarsi al suo petto. Nella sua vita pubblica, Gesù ha raccomandato più di una volta ai suoi discepoli di non cercare di occupare il primo posto, ma di aspirare piuttosto all’umiltà del cuore. Ha detto e ripetuto che il suo regno, cioè la Chiesa, non deve essere ad immagine dei regni terreni o delle comunità umane in cui ci sono dei primi e degli ultimi, dei governanti e dei governati, dei potenti e degli oppressi. Al contrario, nella sua Chiesa, quelli che sono chiamati a reggere dovranno in realtà essere al servizio degli altri; perché il dovere di ogni credente è di non cercare l’apparenza, ma i valori interiori, di non preoccuparsi del giudizio degli uomini, ma di quello di Dio. Nonostante l’insegnamento così chiaro di Gesù, gli apostoli continuarono a disputarsi i primi posti nel Regno del Messia.

Durante l’ultima Cena, Gesù non si è accontentato di parole, ma ha dato l’esempio mettendosi a lavare loro i piedi. E, dopo aver finito, ha detto: “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,13-14). La Cena si ripete nei secoli. Infatti Gesù ha investito gli apostoli e i loro successori del potere e del dovere di ripetere la Cena eucaristica nella santa Messa.

Cristo si sacrifica durante la Messa. Ma, per riprendere le parole di san Paolo, egli resta lo stesso “ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8).

I credenti che partecipano al Sacrificio eucaristico cambiano, ma il loro comportamento nei confronti di Cristo è più o meno lo stesso di quello degli apostoli nel momento della Cena. Ci sono stati e ci sono tuttora dei santi e dei peccatori, dei fedeli e dei traditori, dei martiri e dei rinnegatori.

Volgiamo lo sguardo a noi stessi. Chi siamo? Qual è il nostro comportamento nei confronti di Cristo? Dio ci scampi dall’avere qualcosa in comune con Giuda, il traditore. Che Dio ci permetta di seguire san Pietro sulla via del pentimento. Il nostro desiderio più profondo deve però essere quello di avere la sorte di san Giovanni, di poter amare Gesù in modo tale che egli ci permetta di appoggiarci al suo petto e di sentire i battiti del suo cuore pieno d’amore; di giungere al punto che il nostro amore si unisca al suo in modo che possiamo dire con san Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

Una settimana… santa

La nostra vita si svolge dentro un ritmo temporale che si ripete sempre uguale: è il ritmo della settimana. Ma ci sono alcune settimane o alcuni giorni in un anno che si distinguono da tutti gli altri, quando ricordiamo l’anniversario di qualche evento importante, quando possiamo incontrare qualcuno che amiamo e vediamo poco.

Anche la liturgia, che cerca di far incontrare la nostra vita con il Mistero della vita di Gesù, si svolge dentro un ritmo temporale sempre uguale, e pone nella domenica la celebrazione del mistero principale della nostra fede, la Risurrezione di Gesù. Ma durante l’anno per i cristiani c’è una settimana per così dire speciale, uguale alle altre ma più importante di tutte: è la settimana in cui celebriamo il mistero pasquale, che si apre con la domenica delle Palme e diventa particolarmente intensa nel giorni di giovedì, venerdì e sabato, durante i quali celebriamo il santo triduo pasquale.
Cosa ha di diverso la settimana santa da tutte le altre? In essa, oltre che celebrare il mistero eterno e universale della morte e risurrezione di Gesù Figlio di Dio, in un certo senso siamo invitati a riviverlo, ad accompagnarlo anche cronologicamente, materialmente, attraverso i riti che durante secoli di vita la Chiesa ha creato. Per il cristiano che decide di vivere la settimana santa come degli “esercizi spirituali” (magari sacrificando qualcosa d’altro, come ferie e compere), il fatto di uscire di casa più volte durante una settimana per recarsi in chiesa (dove normalmente ci rechiamo una volta alla settimana) è un segno concreto che sta accompagnando gli ultimi momenti della vita di Gesù. E ciò lo fa non da solo, ma con la comunità dei discepoli, che come lui seguono Gesù. Questo andare e venire dalla chiesa, il passare dei giorni in cui riviviamo nel rito gli ultimi passi della vita di Gesù, ci ricordano la concretezza della vita e della passione-morte di Gesù, e ci insegnano che possiamo seguirlo solo nel passare dei giorni, nel passare degli anni, con la nostra tenace presenza, con le nostre debolezze, nelle condizioni concrete in cui, al passare di ogni anno, ci troviamo.
Come in Gesù la rivelazione di Dio si è realizzata nel tempo di una vita (che ha avuto nell’ultima settimana una concentrazione straordinaria), così per ciascuno di noi la fede si vive e si esprime nel tempo concreto della nostra vita, nel passare degli anni: la liturgia, in questo tempo terrestre, è fonte e culmine del nostro cammino di fede.

L’ultima sera trascorsa coi suoi

Così, nel ritmo cronologico e teologico della settimana santa, la sera del giovedì ricorda e celebra il momento dell’intimità ultima di Gesù con il gruppo dei suoi discepoli. È il giorno eucaristico per eccellenza, in cui facciamo memoria dell’Eucarestia che Gesù ha celebrato con i suoi prima di morire. La S.Messa, che celebriamo tutti i giorni, il cui rito si è accresciuto e modificato molto durante i secoli, in realtà è la memoria di ciò che Gesù ha fatto e detto l’ultima sera della sua vita su questa terra. A sua volta, in quella sera Gesù ha voluto riassumere in due gesti semplice e brevi parole il senso di tutto quello che aveva fatto e detto fino ad allora; ha voluto anche anticipare il perché di quello che sarebbe successo quel venerdì, quel sabato e che l’alba dell’ottavo giorno avrebbe rischiarato alla mente e al cuore dei discepoli.

La cena, la Pasqua, la lavanda

Le letture della liturgia della Cena del Signore ci parlano dei gesti compiuti da Gesù in quella sera. Nella lettera ai Corinti Paolo fa memoria della antica tradizione che lui stesso ha ricevuto su Gesù: la sera della “consegna” (il tradimento di Giuda, attraverso cui è Dio che consegna il Figlio all’umanità per amore), durante la cena rituale della Pasqua, ha detto delle parole nuove sul pane e sul calice: è il mio corpo, è il mio sangue, è la nuova alleanza. Gesù ha detto con il segno del pane che il senso della sua vita è darsi come cibo, è perdersi per produrre la vita in chi ne mangia. Così Paolo richiama i Corinti, che mentre celebravano l’Eucaristia vivevano tra loro divisioni fomentate dall’egoismo, che è l’esatto contrario del gesto di totale altruismo di Gesù.

Sullo sfondo di questo gesto appare la Pasqua degli ebrei, la Pasqua dell’uscita dalla schiavitù dell’Egitto (il racconto dell’esodo): Gesù parla di nuova alleanza, apre il cammino del compimento di quanto Dio aveva cominciato a fare salvando gli ebrei dall’Egitto. Non si può comprendere l’ultima cena di Gesù senza ricordare la prima Pasqua; non si può capire la salvezza dall’Egitto se non come figura della salvezza dalla morte del peccato, che Gesù ha realizzato e ha offerto a tutte le nazioni.
Il vangelo di Giovanni è l’unico che non racconta l’istituzione dell’Eucaristia, ma in questa messa sta al centro, raccontando il gesto della lavanda dei piedi. Il contrasto tra il Signore che ha ricevuto da Dio tutta l’autorità e il gesto umile dello schiavo che si piega a lavare i piedi ai discepoli domina la scena, che la liturgia permette che sia ripetuta e rappresentata nelle nostre chiese in questa sera. È perché passi attraverso gli occhi, perché non è una logica da capire, ma un gesto impensabile da imitare. Ha lo stesso senso del pane dato per la vita: è una persona che si abbassa per servire un’altra. E questa persona è il Figlio di Dio.

Gesù e noi

È significativo che tutti e due i gesti di Gesù si concludano con un invito/ordine: fate anche voi lo stesso. Gesù non vuole semplicemente insegnare qualcosa, vuole aprire un cammino in cui i suoi possano entrare e trovare la salvezza, la pace.

Con il gesto del pane e del lavare i piedi Gesù vuole mostrare che si dà totalmente, ma non si perde. Al contrario di noi, che ci perdiamo senza darci, ci perdiamo perché non ci diamo totalmente.
Come riesce Gesù a fare ciò?

Riesce a darsi totalmente senza perdersi perché è già tutto del Padre, e si sente del Padre. Ha già scoperto il significato profondo della sua vita: sentirsi profondamente amato dal Padre. Chi ama si sente bene quando fa ciò che piace all’amato. Gesù riceve dal Padre il comandamento di amare i suoi fino alla fine e per questo si dà totalmente trovandosi, sicuro di non finire nel buio, nel non senso, nel vuoto, nel fallimento, ma nell’abbraccio del Padre. Noi spesso viviamo e agiamo senza riconoscere il senso del nostro stare nel mondo: da qui nascono le nostre paure, le nostre bugie, le nostre fughe, e anche la nostra tristezza. Abbiamo paura di uscire dal nostro egoismo dando qualcosa di nostro agli altri. Pensiamo: come posso dare agli altri se non ho abbastanza neppure per me?! Ma in ciò ci sbagliamo, il nostro sguardo è troppo basso, non facciamo conto su Dio e su ciò che Dio ci promette.Contemplando (=guardando in profondità) l’ultima cena di Gesù, e poi la sua passione, morte e risurrezione, chiediamo al Signore che ci aiuti a superare la nostra miopia e che ci faccia sperimentare la gioia segreta della Pasqua: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo. Se muore porta molto frutto.

VENERDI SANTO (PASSIONE DEL SIGNORE) Colore liturgico: Rosso

La celebrazione si svolge in tre momenti: Liturgia della Parola, Adorazione della Croce, Comunione eucaristica.

In questo giorno la santa comunione ai fedeli viene distribuita soltanto durante la celebrazione della Passione del Signore; ai malati, che non possono prendere parte a questa celebrazione, si può portare la comunione in qualunque ora del giorno.

Il sacerdote e il diacono indossano le vesti di color rosso, come per la Messa.

Si recano poi all’altare e, fatta la debita riverenza, si prostrano a terra o, secondo l’opportunità, s’inginocchiano. Tutti, in silenzio, pregano per breve tempo.

La più grande lezione che Gesù ci dà nella passione, consiste nell’insegnarci che ci possono essere sofferenze, vissute nell’amore, che glorificano il Padre.

Spesso, è la “tentazione” di fronte alla sofferenza che ci impedisce di fare progressi nella nostra vita cristiana. Tendiamo infatti a credere che la sofferenza è sempre da evitare, che non può esserci una sofferenza “santa”. Questo perché non abbiamo ancora sufficientemente fatto prova dell’amore infinito di Dio, perché lo Spirito Santo non ci ha ancora fatto entrare nel cuore di Gesù. Non possiamo immaginarci, senza lo Spirito Santo, come possa esistere un amore più forte della morte, non un amore che impedisca la morte, ma un amore in grado di santificare la morte, di pervaderla, di fare in modo che esista una morte “santa”: la morte di Gesù e tutte le morti che sono unite alla sua.

Gesù può, a volte, farci conoscere le sofferenze della sua agonia per farci capire che dobbiamo accettarle, non fuggirle. Egli ci chiede di avere il coraggio di rimanere con lui: finché non avremo questo coraggio, non potremo trovare la pace del suo amore.

Nel cuore di Gesù c’è un’unione perfetta fra amore e sofferenza: l’hanno capito i santi che hanno provato gioia nella sofferenza che li avvicinava a Gesù.

Chiediamo umilmente a Gesù di concederci di essere pronti, quando egli lo vorrà, a condividere le sue sofferenze. Non cerchiamo di immaginarle prima, ma, se non ci sentiamo pronti a viverle ora, preghiamo per coloro ai quali Gesù chiede di viverle, coloro che continuano la missione di Maria: sono più deboli e hanno soprattutto bisogno di essere sostenuti.

Oggi tutto è spoglio, nella chiesa e sull’altare. Tutto è silenzio. La stessa liturgia è più silenziosa e tutti ci siamo prostrati, già all’inizio, sentendo una indicibile oppressione. È come crollato un grande muro e ora appaiono unicamente le macerie. Si sente solo un pianto: quello di Dio. Sì, Dio piange con quel singhiozzo, con quella reiterata insistenza, con quello sconforto, con quella immensa angoscia che potremmo somigliare alle nostre disperazioni dolorose. Se ci lasceremo toccare, nella liturgia odierna, dal pianto del Signore, non lo dimenticheremo più, e nulla sentiremo mai di maggiormente grande e triste. «Popolo mio, che cosa ti ho fatto, perché tu mi met­tessi in croce?» Così piange Dio, davanti a noi, come nessuna donna ha pianto sopra il suo sposo o sopra i suoi figli. «Popolo mio, che male ti ho fatto? In che ti ho provocato? Dammi risposta!». E, sgomento, il Signore continua a non darsi pace: «lo ho aperto davanti a te il mare, e tu mi hai aperto con la lancia il costato. Lo ti ho fatto strada con la nube, e tu mi hai condotto al pretorio di Pilato. Lo ti ho dissetato dalla rupe con acqua di salvezza, e tu mi hai dissetato con fiele e aceto. Lo ti ho posto in mano uno scettro regale, e tu hai posto sul mio capo una corona di spine». Non si dà pace il Signore: «Che altro avrei dovuto fare e non l’ho fatto?». Questo pianto, tante volte è inascoltato. Presi come siamo da noi stessi, non lo sentiamo più. Ecco perché la nostra vita è spesso così arida e sciocca, e le nostre città sono così crudeli, soprattutto con i più deboli. Ognuno sembra come rinchiuso nel versare le lacrime solo su se stesso, sui propri guai, sul proprio destino. Lacrime sterili, perché non scendono in un terreno che dà frutti buoni, ma in quello dell’amore per sé che genera solo amarezza e violenza.

Quel giorno, come oggi, Gesù, chinato il capo, spirò. Forse a Gerusalemme non si parlava d’altro; la morte di questo singolare profeta doveva essere senza dubbio una notizia. Eppure chi troviamo presso la sua croce, a soffrire con lui e per lui, mentre egli soffriva per noi e a causa nostra? La maggior parte della gente, o lo malediceva, o diceva: «Ben gli sta»; una gran parte se ne disinteressava; e altri si limitavano a una compassione sterile. Moriva per gli uomini e nessuno, quasi nessuno, gli era accanto, a dirgli, almeno con un cenno, un grazie, a prendere atto della sua carità, ad accorgersi del suo amore. Da quel giorno sono passati duemila anni. Oggi, in questo giorno anniversario, il vero nostro dovere consiste nel non lasciare solo Gesù e accorrere sotto la sua croce. Dove sono quelle cinquemila persone che egli ha sfamato con il pane e che volevano persino farlo re? Dove sono quei malati che egli ha guarito nei suoi ultimi tre anni? E i dieci lebbrosi? E i suoi discepoli? E i Dodici? E noi? Noi siamo qui. Sì, è vero. Ma con quale amore? Accade spesso che molti cristiani non si rendono conto d’essere stati oggetto di tanto amore da parte del Signore, e si contentano di avere di Gesù una cognizione così vaga che si vergognerebbero di averne una simile di un loro conoscente.

Il dramma di questo giorno è proprio qui: il Signore, che ha dato la sua vita per noi, non è da noi amato. «O popolo mio, che cosa ti ho fatto di male? Cosa non ti ho fatto di bene?». Questo lamento scende oggi dalla croce, per ognuno di noi. Chi di noi può dire di avere aiutato il Signore a portare la croce? Non quella nostra, s’intende, ma quella del Signore? Allora, per portare la croce di Gesù, costrinsero il povero Cireneo. È sempre il povero che porta la croce, allora come oggi. Lasciata cadere da chi dovrebbe portarla, essa finisce sulle spalle dei deboli. Nessuno, né della folla, né dei discepoli, si era offerto per Gesù. Le mani di tutti erano rimaste ferme, come rattrappite, oppure si erano tolte ogni responsabilità (quanti Pilato si sono lavati le mani durante la storia!), oppure per dovere avevano denudato, inchiodato, squarciato il cuore di Gesù. Le nostre mani sono nel numero di tutte queste mani, anche se vorremmo dimenticarlo, e purtroppo la vita convulsa della città ci aiuta nella smemoratezza. Per dimenticare queste nostre mani fredde e traditrici, abbiamo bisogno di guardare altre mani, di sostituire le nostre mani impietose con quelle misericordiose della Maddalena che lava i piedi di Gesù, di Giuseppe d’Arimatea che toglie il corpo dalla croce, di Maria che accoglie il corpo senza vita del Figlio. E se neppure questo riusciamo a fare, oggi imitiamo almeno le mani del centurione che si batte il petto o quelle della folla che si allontana battendosi anch’essa il petto per la propria incredulità e la propria complicità per la morte dell’unico giusto. La salvezza inizia di qui, dal pentimento che nasce guardando la croce.

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA (ANNO B) colore liturgico: Bianco

Veglia della Notte santa – la Madre di tutte le veglie. Così S. Agostino definisce questa celebrazione. Essa si colloca al cuore dell’Anno liturgico, al centro di ogni celebrazione. Ad essa si preparavano i nuovi cristiani, in essa speravano i peccatori, tutti potevano di nuovo attingere dalla mensa ai «cancelli celesti».

Essa rappresenta Totum pasquale sacramentum. Infatti in essa si celebrano non solo i fatti della risurrezione, ma anche quelli della passione di Cristo.

Nel terzo giorno del triduo pasquale, il Sabato Santo, la Chiesa è in silenzio. Non si celebra la Messa, gli altari sono spogli, segno di partecipazione alla morte del Signore. È una vigile, trepida attesa della sua imminente risurrezione.

Chi entra oggi in una chiesa, sin dal mattino, può restare colpito da un grande silenzio. Questo Sabato infatti, per la Chiesa latina, è un giorno a-liturgico, che significa privo di ogni celebrazione, specialmente di quella eucaristica. Non viene celebrata nessuna Messa, in attesa della sera, quando avrà inizio la grande Veglia pasquale, la madre di tutte le Veglie, la più antica nella storia della Chiesa, con le letture del Vecchio e Nuovo Testamento, che partono dall’origine del mondo, la creazione, e fanno rivivere nella storia le grandi tappe di Israele, preparato sotto la guida di Mosè e dei profeti, ad accogliere il Messia promesso, il liberatore.

Il grande silenzio aiuta i fedeli a riflettere sul valore del sacrificio che Gesù ha compiuto sulla croce, ma li mette anche, spiritualmente, in un clima di speranza, poiché, con la sua croce, Cristo ha vinto la morte e ha promesso, anche per noi, la gloria della risurrezione.

Il primo atto della Veglia pasquale è la benedizione del fuoco nuovo, dal quale si attinge la fiamma per accendere il cero pasquale, segno del Cristo risorto. Entrando nella chiesa, completamente buia, il celebrante canta per tre volte le parole: “Cristo, luce del mondo”. Si accendono allora tutte le luci, mentre il diacono intona il solenne annuncio pasquale: “Esulti il coro degli angeli, un inno di gloria saluti il Signore risorto”.

Al segno della luce si aggiunge quello dell’acqua battesimale. Attualmente si conferisce il battesimo nelle domeniche dell’anno liturgico. Anticamente non era così. La notte del battesimo era solo quella della Veglia pasquale, poiché come Cristo era uscito vivo dal sepolcro, così i nuovi battezzati (neofiti), uscivano dall’acqua del fonte battesimale con una vita nuova, quella di figli di Dio. Oggi in molte Chiese si è ritornati al rito antico, specialmente se sono presenti degli adulti o convertiti o per essersi preparati al battesimo, secondo le norme della Chiesa.

Furono le donne a giungere per prime al sepolcro, avendo preparato gli aromi per il corpo del Crocifisso. Ma, entrando nel sepolcro, “videro un giovane, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui”. Le parole dell’Angelo ricordano quelle dette a Maria il giorno della annunciazione. “Non temere”. Anche se le cose del cielo ci possono sorprendere, non c’è mai motivo per aver paura di Dio.

Egli viene e interviene sempre a nostro favore, per aiutarci e per liberarci. Non solo, Egli ci chiama a collaborare con Lui all’opera della nostra salvezza. Come l’Angelo ha chiesto alle donne. Esse, considerate ultime nella cultura orientale, sono le prime a essere testimoni della risurrezione e incaricate di andare a dire ai discepoli e a Pietro “che Egli vi precede in Galilea”. Le prime ambasciatrici del Risorto, le prime annunciatrici di quello che sarà il cuore stesso di tutto il Vangelo, annuncio della “buona notizia”, quella della risurrezione.

8 APRILE 2012 Domenica di Pasqua

Che cos’è che fa correre l’apostolo Giovanni al sepolcro? Egli ha vissuto per intero il dramma della Pasqua, essendo molto vicino al suo maestro. Ci sembra perciò inammissibile un’affermazione del genere: “Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura”. Eppure era proprio così: non meravigliamoci allora di constatare l’ignoranza attuale, per molti versi simile. Il mondo di Dio, i progetti di Dio sono così diversi che ancor oggi succede che anche chi è più vicino a Dio non capisca e si stupisca degli avvenimenti.

“Vide e credette”. Bastava un sepolcro vuoto perché tutto si risolvesse? Credo che non fu così facile. Anche nel momento delle sofferenze più dure, Giovanni rimane vicino al suo maestro. La ragione non comprende, ma l’amore aiuta il cuore ad aprirsi e a vedere. È l’intuizione dell’amore che permette a Giovanni di vedere e di credere prima di tutti gli altri. La gioia di Pasqua matura solo sul terreno di un amore fedele. Un’amicizia che niente e nessuno potrebbe spezzare. È possibile? Io credo che la vita ci abbia insegnato che soltanto Dio può procurarci ciò. È la testimonianza che ci danno tutti i gulag dell’Europa dell’Est e che riecheggia nella gioia pasquale alla fine del nostro millennio.

CRISTO E’ RISORTO! Questa è la fede della Chiesa. Questa è la nostra fede. Questa è la speranza che illumina e sostiene la vita e la testimonianza dei cristiani.

In ogni tempo e in questo nostro tempo, carico di sfide e di possibilità, il Signore Risorto chiama i cristiani a essere suoi testimoni credibili, mediante una vita rigenerata dallo Spirito e capace di porre i segni di un’umanità e di un mondo rinnovati.

La Chiesa vuole riprendere oggi gli intenti e lo slancio per annunciare il vangelo della speranza. La “speranza viva” affonda le radici nella fede e rafforza lo slancio della carità. Nella speranza si incontrano il Risorto e gli uomini, la Sua vita e il loro desiderio.

Abbiamo scritto nel nostro programma pastorale: “Diciamo con gioia: E’ veramente risorto!. Noi cristiani (della parrocchia), nello spirito comunitario della Chiesa, ci vogliamo aprire ad una testimonianza più coerente e coraggiosa della nostra fede in Cristo Risorto, offerta come vero amore al prossimo, per offrire speranza a più persone possibili.”

Nei brani della Parola di Dio abbiamo la forte e coraggiosa testimonianza di Pietro e degli apostoli: “Lo uccisero appendendolo ad una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti, a noi. Tutti i profeti gli rendono questa testimonianza: chiunque crede in Lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome”. La remissione dei peccati è il perdono, la grazia, la salvezza, la vita eterna, il paradiso di Dio. L’apostolo Paolo ci ha detto: “Se siete risorti con Cristo (ecco il nostro battesimo, col quale siamo stati innestati in Cristo) cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo, pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra”.

Il cristiano vive sulla terra, ma sa che è incamminato verso la pienezza della sua vita, che è nei cieli: là è la nostra patria, la nostra casa, la vita con Dio e con tutti, in una pienezza che neanche riusciamo ad immaginare. Gesù ci ha parlato di questo. E’ venuto per salvarci, cioè per meritarci il perdono e la grazia della salvezza, ci ha preparato un posto nei cieli.

Questa è la grande speranza nella vita di ogni uomo. La speranza è la certezza che Dio porterà a compimento ciò che ha promesso: e Dio ci ha promesso la vita eterna, la vita nella pienezza, la vita del paradiso. Ecco perché siamo invitati a pensare alle cose di lassù, a cercare le cose di lassù.
Che cosa cerco, a che cosa penso io? Che senso ha la mia vita? Dove è diretta? Che significato hanno tutte le cose che sono chiamato a vivere? La speranza della vita nei cieli è luce e forza per la nostra vita terrena, non indebolisce anzi rafforza i nostri impegni. La speranza è quella virtù che ci è necessaria e di cui tutti hanno bisogno. E noi vorremmo portare speranza a tante persone, nelle difficoltà e nei problemi che incontrano, aiutando tutti ad accogliere Cristo Gesù, come vera e concreta speranza in ogni situazione di vita.

La Pasqua – Gesù che muore e risorge – è il fondamento della speranza che va oltre le nostre singole situazioni. Gesù ha vinto il male, il peccato e la morte per noi e per tutta l’umanità. Ora tocca a noi cercare le vie per arrivare ad attingere a questa straordinaria sorgente di speranza.
Possiamo e dobbiamo vivere la speranza per noi, per le situazioni della nostra vita, anche per i momenti di preoccupazione, di sofferenza, fino al momento grande della nostra chiamata all’eternità.
Possiamo e dobbiamo aiutare gli altri sul cammino della speranza. Ogni atto di amore al prossimo diventa aiuto e speranza.

Siamo confortati e incoraggiati dai tanti testimoni di bene e di speranza che sono vissuti o vivono in mezzo a noi: anime belle, persone di luce, cuori generosi e fedeli, di ogni età, giovani, adulti, anziani, famiglie, vocazioni consacrate.

Così anche noi possiamo essere testimoni di Cristo Risorto, speranza per il mondo intero e per ciascuno. Cristo, mia speranza, è risorto. Alleluia!

Buona Pasqua a tutti!

NOVENA DELLA DIVINA MISERICORDIA ( dal Venerdì santo al sabato successivo alla Pasqua)

Gesù stesso chiese a Suor Faustina di scrivere questa Novena e di recitarla in preparazione della Festa della Divina Misericordia, la prima domenica dopo Pasqua. Tale novena comincia il Venerdì Santo. (Diario 1208).

Benché questa Novena ottenga delle grazie particolari se recitata in questo periodo, essa può essere recitata in qualsiasi momento dell’anno. Gesù disse a Suor Faustina: “Desidero che durante questi nove giorni tu conduca le anime alla sorgente della mia Misericordia affinché attingano forza, sollievo e ogni grazia necessaria nei sacrifici della vita e specialmente nell’ora della morte. Ogni giorno condurrai al mio Cuore svariate schiere di anime e le immergerai nell’oceano della mia Misericordia: Io le introdurrò nella Casa del Padre mio. Nulla negherò a quelle anime che tu condurrai alla sorgente della mia Misericordia.

Ogni giorno chiederai al Padre mio, per l’amarezza della mia Passione, le grazie necessarie a queste anime” (Diario 1209).

Primo Giorno (Venerdì Santo)

“Oggi conducimi l’umanità intera e specialmente tutti i peccatori e immergili nell’oceano della mia Misericordia: con ciò mi consolerai dell’amara tristezza, in cui mi getta la perdita delle anime”.

Gesù misericordiosissimo, la cui prerogativa è d’aver compassione di noi e di perdonarci, non guardare i nostri peccati, ma la fiducia che nutriamo nell’infinita tua bontà. Accoglici nella dimora del pietosissimo tuo Cuore, e non permettere che ne abbiamo ad uscire mai più. Te lo chiediamo per l’amore che ti unisce al Padre e allo Spirito Santo. Misericordia dell’Onnipotente che puoi salvare l’uomo peccatore, poiché Tu sei l’oceano dell’amore, soccorri chi t’invoca umilmente. Eterno Padre, volgi il tuo sguardo di misericordia sopra l’intera umanità e specialmente sopra i peccatori, che sono rinchiusi nel Cuore infinitamente compassionevole di Gesù e, per la sua Passione dolorosa, mostraci la tua Misericordia, affinché cantiamo assieme, eternamente, la gloria dell’onnipotente tua bontà. Amen. Recitare la Coroncina

Secondo Giorno

“Oggi conduci a me le anime dei sacerdoti e dei religiosi e immergile nella mia imperscrutabile Misericordia. Esse mi diedero la forza di reggere fino alla fine l’amarezza della mia Passione: per mezzo loro, come attraverso dei canali, la mia Misericordia scorre sull’umanità”. Gesù misericordiosissimo, dal quale proviene tutto ciò che è buono, moltiplica sulle vergini consacrate la grazia, affinché compiano le dovute opere di misericordia, e tutti coloro che le vedono glorifichino il Padre della Misericordia che è nei Cieli. Nei cuori puri alberga la sorgente che scorre al mare dell’amor divino, chiara quale rugiada del mattino, più che le stelle in Cielo risplendente. Eterno Padre, mira con occhio di misericordia la schiera di coloro che scegliesti a lavorare nella tua vigna, le anime dei sacerdoti e dei religiosi: dona loro la potenza della tua benedizione e, per i sentimenti del Cuore di tuo Figlio in cui essi si trovano racchiusi, accorda loro il potere della tua luce, affinché sappiano guidare gli altri sulle vie della salvezza, fino a cantare insieme per l’eternità le lodi della tua imperscrutabile Misericordia. Amen. Recitare la Coroncina

Terzo Giorno

“Oggi conducimi tutte le anime devote e fedeli e immergile nell’oceano della mia Misericordia; esse mi confortarono lungo la Via Crucis: furono quella goccia che mi consolò nell’oceano dell’amarezza”.
Misericordiosissimo Gesù, che dal tesoro della tua Misericordia elargisci sovrabbondantemente le tue grazie, accoglici dentro al tuo Cuore, che verso tutti è d’una bontà infinita, e non permettere che ne usciamo mai più. Te lo chiediamo per l’imperscrutabile amore di cui ardi verso il Padre Celeste. Non può l’uomo scrutare i tuoi portenti, nascondi al santo come al peccatore, Misericordia eterna del Signore che al cuore stringi giusti e penitenti. Eterno Padre, guarda con misericordia le anime fedeli che sono l’eredità del tuo Figliolo, e per la dolorosa sua Passione, concedi ad esse la tua benedizione e proteggile continuamente, affinché non abbiano a perdere l’amore e il tesoro della santa fede, ma con tutta la schiera degli angeli e dei santi cantino gloria per l’eternità all’infinita tua Misericordia. Amen. Recitare la Coroncina

Quarto Giorno

“Conducimi oggi quelli che non mi conoscono ancora. Anche ad essi ho pensato nell’amara mia Passione e il futuro loro zelo portò consolazione al mio Cuore. Immergili nell’oceano della mia Misericordia”.

O Gesù pietosissimo, che sei la luce di tutto l’universo, accogli nella dimora del compassionevole tuo Cuore le anime di coloro che non t’hanno ancora conosciuto; li illuminino i raggi della tua grazia, affinché anch’essi glorifichino con noi i prodigi della tua Misericordia, e non permettere che s’allontanino mai più dal tuo Cuore infinitamente misericordioso. La tua Misericordia onnipotente splenda su questa errante umanità, così che, vinta ormai l’oscurità, glorifichi il tuo amor concordemente. Eterno Padre, guarda con misericordia le anime di quelli che ancora non ti conoscono, perché Gesù tiene rinchiusi anch’essi nel suo Cuore. Attira verso la luce del Vangelo queste anime che ignorano la grande felicità di amarti e fa’ che glorifichino tutte eternamente la generosità della tua Misericordia. Amen. Recitare la Coroncina

Quinto Giorno

“Portami oggi le anime dei fratelli separati, immergendole nell’oceano della mia Misericordia; nell’amara mia Passione, essi mi laceravano il Corpo e il Cuore, cioè la mia Chiesa. Allorché faranno ritorno alla sua unità, si rimargineranno le mie ferite e avrٍ sollievo nella mia Passione”.

Misericordiosissimo Gesù, che sei la bontà stessa e non rifiuti mai la tua luce a chi la chiede, accogli nella dimora del pietosissimo tuo Cuore le anime dei nostri fratelli separati, attirandoli con il tuo splendore all’unità della Chiesa, e non permettere che ne escano mai più, e adorino anch’essi la generosità della tua Misericordia.

La tua Misericordia, che riveste di autorità la Chiesa col suo raggio, salvi coloro che ti fanno oltraggio strappando l’inconsutile tua veste. Eterno Padre, guarda con l’occhio della tua Misericordia le anime dei nostri fratelli separati, soprattutto di coloro che hanno dissipato i tuoi beni e abusato della tua grazia, mantenendosi nei propri errori. Sono racchiusi anch’essi nel Cuore misericordiosissimo di Gesù: non badare ai loro errori, ma piuttosto all’amore di tuo Figlio e ai dolori della sua Passione che Egli accettò per loro e fa’ che anch’essi cantino le lodi dell’infinita tua Misericordia. Amen. Recitare la Coroncina

Sesto Giorno

“Conduci oggi a me le anime miti e umili, come pure quelle dei bambini, e immergile nella mia Misericordia. Sono queste che maggiormente assomigliano al mio Cuore e mi confortarono nell’amaro tormento della mia agonia: vidi che in futuro avrebbero vegliato accanto ai miei altari come degli angeli terrestri. Su tali anime Io verso a torrenti le mie grazie. Solo esse sono capaci di riceverle e quindi posso donare ad esse tutta la mia confidenza”.

Gesù misericordiosissimo, che dicesti “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”, accogli nella dimora di questo tuo pietosissimo Cuore le anime umili e miti, unitamente a quelle dei bambini, che incantano l’intero paradiso, costituiscono la particolare compiacenza del Padre Celeste e lo deliziano spandendo davanti al suo trono il loro profumo come un mazzo di fiori, levando un perenne inno all’Amore e alla Misericordia. L’anima mite e umile di cuore respira già qui in terra il paradiso: profuma l’universo, e il dolce viso rallegra del divino suo Signore. Padre Eterno, china lo sguardo della tua Misericordia sulle anime umili e miti, come pure su quelle dei bambini, che Gesù tiene racchiuse dentro al pietosissimo suo Cuore. Nessun’altra anima rassomiglia quanto esse al tuo Figliolo e il loro profumo si leva da terra per giungere al tuo trono. Padre di Misericordia e di ogni bontà, ti supplichiamo, per l’amore che Tu porti a tali anime e per la gioia che provi nel mirarle, benedici il mondo intero, affinché quanti siamo ora sulla terra, veniamo a cantare eternamente le lodi della tua Misericordia. Amen. Recitare la Coroncina

Settimo Giorno

“Portami oggi le anime che danno culto e gloria alla mia Misericordia e immergile in Essa. Sono anime che più d’ogni altra soffrono per la mia Passione e penetrano più profondamente nel mio spirito, trasformandosi in copie viventi del mio Cuore misericordioso. Esse splenderanno, nella vita futura, di un particolare fulgore; nessuna cadrà nel fuoco dell’Inferno: Io stesso le difenderò nell’ora della morte ad una ad una”.

Misericordiosissimo Gesù, il cui Cuore è lo stesso amore, accogli in Esso, infinitamente buono, le anime che danno particolare culto e gloria all’immensità della tua Misericordia e che, potenti in virtù della tua stessa forza, unite a Te avanzano, fiduciose nella tua Misericordia, in mezzo alle difficoltà e alle contraddizioni, sorreggendo sulle loro spalle l’intera umanità, per cui esse non saranno giudicate con rigore, ma, nell’ora della morte, le avvolgerà la tua Misericordia. Chi dona gloria alla Pietà suprema, da questa è amato particolarmente, e sempre presso alla vital sorgente, attinge l’acqua della grazia eterna.

Eterno Padre, volgi uno sguardo di benevolenza sulle anime racchiuse nel pietosissimo tuo Cuore che adorano e glorificano il tuo massimo attributo, quello dell’infinita tua Misericordia. T’imploriamo per loro che vivono il Vangelo con le mani riboccanti d’opere di Misericordia e, piene d’esultanza, levano a Te, Altissimo, l’inno della tua bontà. Ti supplichiamo, o nostro Dio, di mostrar loro la tua Misericordia in conformità alle speranze e alla fiducia, ch’esse hanno riposto in Te. S’avveri per tutte la promessa di Gesù: “Proteggerò Io stesso nella vita le anime che danno culto alla mia infinita Misericordia e, specialmente nell’ora della morte, le difenderò come mia gloria”. Amen. Recitare la Coroncina

Ottavo Giorno

“Portami oggi le anime che si trovano nel carcere del Purgatorio e immergile nell’abisso della Misericordia, così che gli zampilli del mio Sangue le ristorino dalla loro arsura. Tutte queste anime sono da me immensamente amate. Esse soddisfano la mia giustizia. È in tuo potere portar loro sollievo: prendi dal tesoro della mia Chiesa tutte le indulgenze, e offrile per esse. Oh, se tu conoscessi il loro tormento, offriresti continuamente per loro l’elemosina dello spirito e pagheresti i debiti che esse hanno contratto con la mia giustizia!”

Misericordiosissimo Gesù, che dicesti: “Voglio misericordia!...” ecco che io introduco nella dimora del tuo Cuore infinitamente pietoso, le anime del Purgatorio, le quali ti sono molto care e tuttavia devono soddisfare alla tua divina giustizia. Gli zampilli d’Acqua e Sangue, che scaturiscono dal tuo Cuore, spengano le vampe di quel fuoco, affinché anche lì sia glorificata la potenza della tua Misericordia. Del Purgatorio dal dolore atroce s’eleva un pianto e un supplice pregare: Gesù, lo puoi Tu solo consolare con l’Acqua e il Sangue che versasti in Croce. Eterno Padre, volgi uno sguardo di Misericordia sulle anime che soffrono nel Purgatorio e che Gesù tiene rinchiuse nel pietosissimo suo Cuore. Per la dolorosa Passione di tuo Figlio Gesù e per tutta l’amarezza che inondò la sua anima santissima, ti supplichiamo di mostrarti misericordioso alle anime che si trovano sotto lo sguardo della tua giustizia e ti chiediamo di non mirarle se non attraverso le Piaghe di Gesù, tuo amatissimo Figlio, perché noi crediamo che la tua bontà e la tua Misericordia sono senza limiti. Amen. Recitare la Coroncina

Nono Giorno

“Portami oggi le anime tiepide e immergile nella profondità della mia Misericordia. Sono esse che più dolorosamente feriscono il mio Cuore, e la mia provò verso di loro nel Getsemani un’invincibile ripugnanza. Fu per causa loro che uscii in quelle parole: “Padre, allontana da me questo calice, se questa è la tua volontà!”. Il ricorso alla mia Misericordia resta per loro l’ultima ancora di salvezza”.

Gesù pietosissimo, che sei la stessa compassione, introduci le anime tiepide nella dimora del tuo Cuore misericordiosissimo. Fa’ che si riscaldino al fuoco del tuo puro amore queste anime che sono simili a cadaveri e ti ispirano tanto ribrezzo. O Gesù pietosissimo, usa l’onnipotenza della tua Misericordia e attirale nelle fiamme più ardenti del tuo amore, donando loro un sacro zelo, perché Tu puoi tutto. Il fuoco e il ghiaccio mai non stanno insieme: quello si spegne, oppure questo fonde; sol la pietà del Ciel rende feconde le sterili creature senza speme. Eterno Padre, getta uno sguardo di commiserazione sulle anime tiepide, che sono racchiuse nel pietosissimo Cuore di Gesù. Padre della Misericordia, ti supplichiamo per l’amarissima Passione di tuo Figlio e per la sua agonia di tre ore sulla Croce, permetti che anch’esse giungano a glorificare le profondità della tua Misericordia. Amen. Recitare la Coroncina

La Domenica della Misericordia é stata istituita nell’anno 2000 da Papa Giovanni Paolo II°

Gesù disse a Suor Faustina: “Desidero che la Festa della Misericordia sia un rifugio e un riparo per tutte le anime e specialmente per i poveri peccatori. In quel giorno sono aperte le viscere della mia Misericordia, riverserò tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicineranno alla sorgente della mia Misericordia. L’anima che si accosta alla confessione (entro 8 giorni prima o dopo la “domenica della Misericordia”) ed alla Santa Comunione, riceve il perdono totale delle colpe e delle pene. In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine. Nessuna anima abbia paura di accostarsi a Me, anche se i suoi peccati fossero come lo scarlatto” (Diario 699). “Figlia mia, dì che la Festa della mia Misericordia è uscita dalle mie viscere a conforto del mondo intero” (Diario 1517). Gesù desidera che questa festa sia celebrata la prima domenica dopo Pasqua. Gesù ha fatto una grande promessa per chi riceve il sacramento della Confessione e della Comunione in tal giorno: il perdono totale dei nostri peccati e la remissione delle pene! Si tratta di un’indulgenza plenaria, come quella ricevuta nel Battesimo.

Il Sacramento della Confessione

“Figlia mia, quando ti accosti alla santa Confessione, a questa sorgente della mia Misericordia, scendono sempre sulla tua anima il mio Sangue ed Acqua che uscirono dal mio Cuore e nobilitano la tua anima. Ogni volta che vai alla santa Confessione immergiti tutta nella mia Misericordia con grande fiducia, in modo che Io possa versare sulla tua anima l’abbondanza delle mie grazie. Quando vai alla Confessione, sappi che Io stesso ti aspetto in confessionale, Mi copro soltanto dietro al sacerdote, ma sono Io che opero nell’anima. Lì la miseria dell’anima si incontra col Dio della Misericordia. Dì alle anime che da questa sorgente della Misericordia possono attingere le grazie unicamente col recipiente della fiducia. Se la loro fiducia sarà grande, la mia generosità non avrà limiti. I rivoli della mia grazia inondano le anime umili. I superbi sono sempre nell’indigenza e nella miseria, poiché la mia grazia si allontana da loro e va verso le anime umili” (Diario 1602). “Dì alle anime dove debbono cercare le consolazioni, cioè nel tribunale della Misericordia. Lì avvengono i più grandi miracoli che si ripetono continuamente. Per ottenere questo miracolo non occorre fare pellegrinaggi in terre lontane né celebrare solenni riti esteriori, ma basta mettersi con fede ai piedi di un mio rappresentante e confessargli la propria miseria ed il miracolo della Divina Misericordia si manifesterà in tutta la sua pienezza. Anche se un’anima fosse come un cadavere in decomposizione ed umanamente non ci fosse alcuna possibilità di resurrezione e tutto fosse perduto, non sarebbe così per Dio: un miracolo della Divina Misericordia risusciterà quest’anima in tutta la sua pienezza. Oh! Infelici coloro che non approfittano di questo miracolo della Divina Misericordia! Lo invocherete invano, quando sarà troppo tardi!” (Diario 1448).

La Santa Comunione

“Io desidero unirmi con le anime umane; la mia delizia è unirmi con le anime. Sappi,
figlia mia, che quando nella santa Comunione vengo in un cuore umano, ho le mani
piene di grazie di ogni genere e desidero donarle all’anima, ma le anime non mi prestano
nemmeno attenzione, mi lasciano solo e si occupano d’altro. Oh, quanto è triste per Me
che le anime non conoscano l’Amore! “ (Diario 1385). “Quanto mi addolora che le anime si uniscano così poco a Me nella santa Comunione! Attendo le anime ed esse sono indifferenti verso di Me. Le amo con tanta tenerezza e sincerità ed esse non si fidano di Me! Voglio colmarle di grazie, ma esse non vogliono riceverle. Trattano con Me come una cosa inerte, eppure ho un Cuore pieno di Misericordia e d’amore”.

“Scrivi questo per le anime dei religiosi: che è una delizia per Me entrare nei loro cuori con la santa Comunione” (Diario 1638). “Vedi, ho lasciato il trono del Cielo per unirmi a te. Quello che vedi ora è appena un lembo e la tua anima già sviene per amore, allora come si sbalordirà il tuo cuore quando
mi vedrai in tutta la mia gloria? Ma voglio dirti che la vita eterna deve cominciare già su
questa terra per mezzo della santa Comunione. Ogni santa Comunione ti rende più
idonea a trattare familiarmente con Dio per tutta l’eternità” (Diario 1810).

Come si recita la Coroncina della Divina Misericordia

Si recita con la corona del Rosario.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Si inizia con Padre Nostro. Ave Maria. Credo.

Sui grani del Padre Nostro si dice:

Eterno Padre, Ti offro il Corpo e il Sangue, l’Anima e la Divinità del Tuo dilettissimo Figlio e nostro Signore Gesù Cristo, in espiazione dei nostri peccati e di quelli del mondo intero.

Sui grani dell’Ave Maria si dice:

Per la Sua dolorosa Passione abbi misericordia di noi e del mondo intero.

Alla fine si dice tre volte:

Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi e del mondo intero.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.